Editoriali - 30 ottobre 2024, 09:46

Manovra finanziaria 2025, giudizi precipitosi. Di Carlo Manacorda*

La manovra finanziaria 2025 riduce davvero le tasse? Ed, eventualmente, per chi? Tra giochini e giochetti contabili, c'è il rischio che le tasse che escono dalla porta rientrino, magari sotto mentite spoglie, dalla finestra? Ecco qualche spiegazione semplice per un tema complesso

Manovra finanziaria 2025, giudizi precipitosi. Di Carlo Manacorda*

La manovra finanziaria 2025 ― cioè l’insieme delle decisioni economiche prese dal Governo per definire il bilancio dello Stato per l’anno prossimo ― è appena stata firmata dal Presidente della Repubblica. Non è ancora stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. C’è tuttora molta incertezza sui contenuti effettivi. Il Parlamento la potrebbe modificare (componenti del Governo ― che, tra l’altro, l’hanno appena votata ― ne chiedono già correzioni, mah!). Eppure, sulla manovra 2025 decisa dal Governo Meloni, fioccano giudizi. Forse precipitosi.

Il primo (onnicomprensivo) l’ha dato lo stesso Governo. Come tutti i governi che l’hanno preceduto, ha affermato: “La manovra mette al sicuro i conti pubblici”. Traduzione: prima, i conti pubblici (la finanza dello Stato) potevano subire attacchi di ogni tipo. Ora, più nessuno li può assaltare. Quindi possiamo stare tutti tranquilli.

Economicamente, l’affermazione è totalmente priva di significati concreti (salvo accettarla come verità assoluta). La fragilità dei conti pubblici nostrani è cronica: enorme evasione fiscale, che fa mancare allo Stato entrate importanti; Pubblica Amministrazione incapace di gestire il proprio patrimonio, da cui ricava poco; debito pubblico enorme: 3mila miliardi, che succhiano ogni anno interessi per 100 miliardi, soldi che potrebbero destinarsi allo sviluppo; spese e sprechi di denaro pubblico incomprimibili; scarsa o nulla attenzione sulla produttività degli uffici pubblici. Alla fine, i conti pubblici (compresi quelli per il 2025) si pareggiano soltanto facendo ulteriore debito. Tenendo conto di questo, è difficile pensare che i conti pubblici “siano al sicuro”. Un aumento di interessi, una crisi internazionale li renderebbero, immediatamente, insicuri. Giudizio precipitoso da parte del Governo? Un tantino.

Sulla propria manovra finanziaria, il Governo Meloni dà altri giudizi. Quelli degli altri soggetti, si uniformano o si distanziano da quelli governativi a seconda delle inclinazioni politiche di chi li formula. Quindi, per brevità, richiamiamo soltanto quelli del Governo. Il Governo qualifica la sua manovra come espansiva.

Al riguardo, può essere utile ricordare che, per l’economia, le manovre finanziarie possono essere espansive o restrittive. Sono espansive quelle che prevedono un aumento della spesa pubblica diretta dello Stato, o indiretta ― se fatta mediante trasferimenti di fondi a enti pubblici che non fanno parte della sua organizzazione ―, oppure una riduzione delle tasse. Sono restrittive quelle che riducono la spesa pubblica o i trasferimenti agli enti esterni, oppure aumentano le tasse. Una manovra espansiva determina una crescita dell’economia dello Stato, quindi si definisce anche “di crescita”. Una manovra restrittiva crea l’effetto opposto. Quali possono essere le loro ricadute sul sistema economico complessivo?

Circa novant’anni fa, l’economista Keynes enunciò la teoria per cui, se si aumentano le spese dello Stato per fare investimenti (opere pubbliche, sostegno all’innovazione delle imprese private, ecc.), si stimola la crescita economica. In primo luogo si crea occupazione. L’occupazione dà un reddito ai lavoratori. Costoro, disponendo di un reddito, possono spendere di più anche in beni di consumo. Crescendo quindi la domanda di beni di consumo anche elementari (vitto, abbigliamento, arredo della casa, ecc.), aumenta la necessità di produrre anche questi beni attraverso nuove imprese, centri, aziende. E si crea altra occupazione. Dunque, il sistema economico cresce in progressione. Anche la riduzione delle tasse, dando ai cittadini maggiori disponibilità di denaro, determina gli stessi effetti sulla spesa da parte loro. Calando questa teoria nei giorni nostri, dire che una manovra economica è espansiva, significa che deve rispondere a questi parametri. Per contro, una manovra restrittiva determina effetti opposti a quelli appena indicati.

La manovra finanziaria 2025 del Governo Meloni si può dire espansiva? Volendole dare questa connotazione, il Governo ha insistito molto sul fatto che essa riduce le tasse (solito annuncio: “Non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani”). Ma questa riduzione sembra limitata alle categorie meno ricche di cittadini. Per le restanti, aumenteranno le tasse dello Stato e quelle che saranno decise da regioni, comuni e altri enti locali con risorse sempre più limitate. E poi non è affatto certo che quanto oggi appare come una riduzione delle tasse, lo sia fino alla fine. Astuti giochetti governativi tra riduzione delle tasse ed eliminazione di esenzioni fiscali potrebbero far sì che chi credeva di pagare di meno pagherà di più. Per non dire poi di aumento delle tasse già decise con la stessa manovra. Si deve poi aggiungere che, riducendo la spesa pubblica in molti settori (sanità, enti pubblici, scuola) qualsiasi riduzione delle tasse andrà in fumo, pagando di più servizi pubblici e prestazioni. Quindi, soltanto alla fine si potrà dire se le tasse si sono ridotte e in che misura. Dunque se la manovra 2025, da questo punto di vista, è espansiva.

Quanto alla destinazione della maggior spesa pubblica cui pensava Keynes (con la spesa pubblica, fare tutto ciò che crea ricchezza), nella manovra finanziaria 2025 ― salvo un intervento a favore delle imprese di 400 milioni per abbattere il costo dei macchinari ― non c’è traccia. La maggior spesa pubblica ora è prevista, per lo più, per sostegni economici di varia natura che si daranno sempre alle categorie meno abbienti dei cittadini. Dunque, anche per questo fatto non sembra che la manovra sia espansiva.

Ma il Governo Meloni, pur di convincere che la sua manovra è espansiva, non si è dimenticato degli investimenti. All’art. 120 (sempre che il numero resti), si legge che, per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, è istituito un fondo di 24 miliardi. Però sarà utilizzabile soltanto a partire dal 2027 per 3.5 miliardi. E poi 2 miliardi per il 2028, 1 per il 2029 e 2,5 annui per ogni anno dal 2030 al 2036. Per il finanziamento del programma pluriennale straordinario di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico si stabilisce un incrementato di 126,6 milioni, ma anche qui per ciascuno degli anni dal 2027 al 2036. Cioè, per gli investimenti produttivi si decide, come si suol dire, “a babbo morto”. Evidentemente, per gli investimenti si confida totalmente nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Ma anche l’attuazione del PNNR non sembra andare molto bene.

Tenendo conto di quanto detto, giudizi dati oggi sulla manovra finanziaria 2025 possono essere precipitosi. D’altro canto, gli effetti di una manovra economica si misurano dopo qualche anno.

*Carlo Manacorda, economista ed esperto di bilanci pubblici

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