Editoriali | 03 gennaio 2025, 14:50

I due autodemolitori: tale nonno, tale nipote

Il disastro Stellantis è stato causato da Elkann e dai suoi soci, perché sono stati loro a mettere Tavares alla guida di Stellantis con l’unico obiettivo di fare profitti per i voraci azionisti. A cominciare da Exor. Questo fenomeno, in precedenza ceo di PSA prima della fusione con FCA, ha risanato i conti di PSA con licenziamenti, ristrutturazioni e soprattutto tagli ai dipartimenti di progettazione e ricerca e sviluppo. Ed in effetti la gestione di Tavares ha portato agli azionisti generosi dividendi: nel 2023 l’utile consolidato di Exor era stato di 4,19 miliardi di euro, leggermente inferiore a quello dell’anno precedente però il metodo adottato era il solito, già adottato in PSA: feroce ridimensionamento di quello che rimane degli stabilimenti di assemblaggio ex FIAT, Lancia, Alfa Romeo, sostituzione dei manager italiani con burocrati incompetenti piombati dalla Francia, vendita di aziende prestigiose come Magneti Marelli. Ed è inevitabile che lasciando la Stellantis nelle mani di incompetenti incapaci di condurre società industriali, le vendite siano crollate ed i nuovi modelli elettrici sono ancor meno apprezzati di quelli della concorrenza. Quindi la nomina di Tavares ha dimostrato che Elkann e gli altri eredi della dinastia vedono l’ex impero FIAT come una qualunque azienda che ha come unico obiettivo quello di fare profitti e niente altro. Ed in questa visione puramente affaristica Elkann è simile al nonno Gianni Agnelli. Difatti, quando nel 1988 Agnelli sostituì l’ingegnere Vittorio Ghidella con l’economista Cesare Romiti nel ruolo di responsabile di FIAT Auto, indicò chiaramente che rispetto agli anni passati, la FIAT Auto doveva smettere di avere l’obiettivo di incrementare le vendite di auto a scapito dei margini di profitto e di concentrare l’attenzione sugli utili. Agnelli trasformò la FIAT, il simbolo della rinascita economica dell’Italia nel dopoguerra, in una qualunque società di capitali, il cui scopo è quello di far guadagnare soldi agli azionisti

I due autodemolitori: tale nonno, tale nipote

Durante gli anni 80 la FIAT ebbe un periodo di crescita prodigiosa che la portarono a diventare leader del mercato automobilistico in Europa, superando la Volkswagen per numero di auto vendute all’anno. Il merito fu dell' ingegnere meccanico piemontese Vittorio Ghidella, nominato nel 1979 amministratore delegato di Fiat Auto.

Oltre ad essere un brillante innovatore, ricordiamo che durante la sua conduzione furono immessi sul mercato prodotti da grande successo, come la Uno, la Croma e la Lancia Thema, a cui contribuì anche nella progettazione, Ghidella fu anche un efficiente organizzatore; tra il 1979 e il 1987 i dipendenti passarono da 140.000 a 78.000, mentre la produzione di automobili fu incrementata da 1.160.000 a 1.230.000 vetture prodotte, in virtù dell’immissione sul mercato di prodotti da grande successo, come la Uno, la Croma e la Lancia Thema.

Eppure, malgrado gli innegabili successi di Ghidella, nella riunione che fu tenuta il 25 Novembre 1988 dai manager dell’Alta Direzione a Marentino, Gianni Agnelli spiegò le ragioni che non consentivano gli investimenti chiesti da Ghidella a favore dell’auto, ritenuti da questi necessari per essere competitivi in un mercato ormai saturo che di conseguenza chiedeva miglioramenti continui delle prestazioni ed il rinnovo sempre più veloce dei modelli. Agnelli concluse il suo discorso licenziando l’artefice della rinascita della FIAT con queste parole lapidarie: “Purtroppo devo fare a meno dell’ingegner Ghidella”.

Può sembrare paradossale che l’uomo che aveva portato la FIAT ad essere la numero 1 in Europa debba essere cacciato, ma non è così quando nelle aziende comandano businessmen che guardano all’utile immediato e non all’incremento della produzione ed all’innovazione. In quegli anni all’interno dei vertici della FIAT si scontravano due visioni strategiche incompatibili. Da una parte la “visione autocentrica” di Vittorio Ghidella, il quale sosteneva che il gruppo FIAT doveva massimizzare le risorse finanziarie destinate al settore degli autoveicoli in modo da poter sostenere la concorrenza dei competitori, limitando gli investimenti nei settori non strettamente collegati all’industria dell’auto. Dall’altra parte c’era la visione “centrata sulla finanza” di Cesare Romiti, secondo il quale la FIAT Auto doveva dedicarsi a ridurre i costi di produzione e investimento per massimizzare i profitti e a diversificare gli investimenti in società finanziarie. D’altra parte a dare contributi generosi alla FIAT per fare investimenti in attività produttive per creare posti di lavoro ci avrebbe pensato lo stato italiano coi soldi dei contribuenti italiani.

Bisogna dire che Agnelli aveva seguito lo spirito dei tempi. Già a partire degli anni sessanta l’economia USA aveva cominciato e finanziarizzarsi, con l’ingresso di businessman nei consigli di amministrazione delle società e la scomparsi di geniali industriali pioneristici alla Howard Hughes.

Il fallimentare epilogo di Stellantis dovrebbe far capire al governo che non si può permettere che ai vertici di società industriali di enorme importanza per la nazione, come la ex-FIAT, venga installato un individuo il cui unico merito è quello di essere parente o raccomandato. L’industria automobilistica coinvolge non solo direttamente le aziende fornitrici dell’indotto, ma anche le aziende che a loro volta forniscono materiali e macchinari per esse. E’ una catena virtuosa che crea centinaia di migliaia di posti lavoro ed il personale deve essere in gran parte altamente qualificato in tutte le discipline, non solo operai, ma anche ingegneri, scienziati, sociologi, economisti. Ed è per questo che gli ex stabilimenti FIAT, Lancia, Alfa Romeo, Maserati dovrebbero essere rilevati da un’altra società nella quale lo stato italiano mantenga una consistente quota azionaria di controllo, la così detta golden share, attraverso una sua società, ad esempio Leonardo. In tal modo si potrebbero soddisfare sia l’ esigenza di mantenere integro il tessuto industriale della nazione (azionista pubblico), sia quella di rendere efficienti e redditizie le attività industriali (azionista privato).

Giuseppe Chiaradia, ingegnere chimico