Nel linguaggio politico, si dice che esistono “porte girevoli” quando una persona può passare, con facilità, da un incarico all’altro. Una situazione di questo genere è stata creata, recentemente, dal decreto-legge 4 del 2022. Ha istituito “porte girevoli” per alcuni amministratori pubblici; oggi magari in numero ridotto ma che potrebbero, via via, aumentare. Vediamo.
Il decreto-legge 4/2022 (L. 25/2022) è uno dei tanti provvedimenti approvati dal Governo per fronteggiare le conseguenze generate dalla pandemia di Covid-19. Stabilisce: “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da Covid-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico”. Il provvedimento non sembra dunque contemplare interventi riguardanti incarichi ad amministratori comunali.
L’articolo 13-ter del decreto smentisce però questa supposizione. Infatti, stabilisce che alcune delle incompatibilità esistenti relativamente a incarichi pubblici non si applicano ai componenti dei Consigli dei Comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti o di associazioni tra Comuni aventi la medesima popolazione. Per comprendere la questione introdotta dall’articolo 13-ter, occorre richiamare alcuni precedenti normativi.
Nel 2012, l’Italia ― anche a seguito di Convenzioni internazionali in questa materia ― approvò la legge 190 per estirpare e punire la corruzione nelle pubbliche amministrazioni. Per l’applicazione della legge, erano necessari alcuni provvedimenti. Uno di questi fu il decreto legislativo 39 del 2013, che regolò la materia delle incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni. Con l’articolo 7, comma 1, si stabilì che non potessero essere attribuiti incarichi: amministrativi di vertice della Regione; dirigenziali dell’amministrazione regionale; di amministratore di ente pubblico regionale e di amministratore di ente pubblico controllato dalla regione a coloro che, nei due anni precedenti, fossero stati componenti della Giunta o del Consiglio della Regione che conferisce l’incarico, ovvero a coloro che, nell’anno precedente, fossero stati componenti della Giunta o del Consiglio di una Provincia o di un Comune con più di 15.000 abitanti della medesima Regione, oppure fossero stati presidente o amministratore delegato di un ente privato controllato da Regione, Provincia o Comune.
Evidente lo scopo della norma: creare una discontinuità tra le funzioni svolte in precedenza e quelle che s’intendevano attribuire dopo, affinché rapporti instauratisi durante le precedenti funzioni non inducessero a comportamenti illeciti durante le seconde.
L’articolo 13-ter del decreto 4/2022 sospende, per alcuni amministratori pubblici, le incompatibilità previste dall’art. 7, comma 1, del decreto 39/2013. È vero che le sospende soltanto per i Consiglieri di Comuni con più di 15 mila abitanti o di associazioni di Comuni con la medesima popolazione e che la sospensione ha effetto solo fino 31 dicembre 2022. Si trova anche una giustificazione “nobile” per la sospensione: “non disperdere le competenze e le professionalità acquisite dagli amministratori locali nel corso del loro mandato specialmente durante l’emergenza epidemiologica da Covid- 19”. Però è altrettanto vero che, appena dopo, si stabilisce che gli incarichi assegnati entro il 31 dicembre 2022 dureranno comunque fino alla loro scadenza naturale. In altre parole, se un ex Consigliere comunale si becca uno degli incarichi previsti dal decreto 39/2013 prima richiamati, lo svolge anche oltre il 31 dicembre 2022.
La stravaganza della norma suscita immediatamente alcune riflessioni. Una l’abbiamo già fatta. Cosa ci sta a fare una norma di questo genere in una legge che regola materie ben diverse? Va detto tuttavia che fatti simili non stupiscono essendo comuni a molte leggi della Repubblica. È costume patrio che, quando in Parlamento si discute una legge, ci sia spesso una “manina” misteriosa che infila nel provvedimento una norma a beneficio di qualcuno indipendentemente dalla coerenza con i contenuti del provvedimento. Nessuno controlla? Ci sono accordi sotterranei? Tutto può essere. Intanto, alla fine, il voto del Parlamento e la pubblicazione della legge rende legittima la magagna.
C’è poi la stupefacente motivazione che giustificherebbe la sospensione delle incompatibilità. Quali sono le competenze e le professionalità acquisite durante il Covid dai Consiglieri comunali? E, qualora siano state acquisite ― spesso questo non emerge visti i pasticci combinati da loro nella gestione della pandemia ―, cos’hanno a che vedere con quelle occorrenti per svolgere incarichi di vertice e dirigenziali di amministrazione o di gestione presso amministrazioni regionali o enti controllati da regioni o enti locali? E poi ancora le incompatibilità vengono meno anche per i componenti esterni della Giunta comunale qualora esistenti?
Qualcuno ha fatto notare che l’articolo 13-ter del decreto 4/2022 è stata introdotto in concomitanza di un ciclo elettorale che ha riguardato 142 comuni con più di 15 mila abitanti. L’ha definito “una regola tagliata in modo sartoriale per qualche esigenza specifica” (Trovati G., Per i politici bocciati porte aperte in regione, Il Sole 24 Ore, 14.06.2022). Quindi, farebbe pensare che valga soltanto per Consiglieri comunali trombati alle elezioni. Ma non potrebbe anche indurre alcuni di costoro a dimettersi entro il 31 dicembre 2022 per acchiappare qualcuno degli incarichi dichiarati incompatibili dal decreto 39/2013?
L’articolo 13-ter del decreto 4/2022 suscita dunque molti interrogativi. Mettendoci il cappello di Covid-19, regala “porte girevoli” a un po’ di soggetti. Più brutalmente. Essendo ininfluente la scadenza del 31 dicembre 2022 poiché una proroga il legislatore nostrano non la nega mai, e infischiandosi di altri soggetti anche professionalmente più preparati, s’è aperta la strada per riciclare amministratori comunali ― trombati o profittatori ― indipendentemente dalle loro capacità. D’altro canto, di questi tempi, il riciclo è una regola da seguire...