La finanza pubblica del Bel Paese non ha mai brillato per solidità. Ora tuttavia ― a causa di una miscela micidiale data da pandemia, guerra, inflazione, aumento del costo delle materie prime, e quant’altro ― sembra avvicinarsi, sempre più rapidamente, alla canna del gas, cioè a quella situazione ― ormai segnalata da indicatori economici (spread in forte rialzo) ― che fa temere un suo vicino tracollo.
Collaborano, efficacemente, alla realizzazione di questa situazione vari attori. Sebbene ciascuno con proprie motivazioni, classe politica ― di sinistra e di destra ―, industriali e sindacati cantano tutti uniti in coro la canzone dello “scostamento di bilancio”, espressione più gentile ma oscura per la maggior parte dei cittadini. In soldoni, lo “scostamento di bilancio” è quello che una volta si definiva, brutalmente, “fare debito di bilancio”. Chi vuole questo e chi vuole quello. E, siccome le casse dello Stato sono drammaticamente vuote, indebitiamolo serenamente (per la gioia delle generazioni future che dovranno pagare i debiti)!
Per chiarire meglio, agli attuali 2.750 miliardi di euro di debito pubblico ne aggiungiamo molte altre decine per elargizioni ― di ogni tipo e per tutti ― a carico del bilancio dello Stato (scoprendo magari dopo che sono state incassate da soggetti che non ne avevano diritto, e quando i denari pubblici si sono ormai volatilizzati). Anche la riduzione delle tasse ― che tutti i partiti politici rivendicano a proprio merito ― si fa totalmente a debito. Non si sente più una voce che dica di ridurre sprechi e inefficienze della spesa pubblica. Va da sé che, alla luce di tutto questo, neppure il Presidente del Consiglio Mario Draghi è in grado di invertire la rotta. Ed anche il Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza (PNRR) non avrà quegli effetti miracolistici di rilancio dell’economia che tutti annunciano, spesso, tra l’altro, ignorando la materia.
La spesa pubblica viaggia dunque a ruota libera, e si riflette sulla crescita costante del debito pubblico. Elementi correttivi potrebbero venire dalle cosiddette “liberalizzazioni”, vale a dire creando situazioni di concorrenza tra operatori economici. I correttivi potrebbero consistere, ad esempio, in maggiori entrate derivanti da più elevati incassi nelle concessioni per lo sfruttamento di beni pubblici (lido del mare, acque pubbliche, ecc.) o, sempre ad esempio, liberalizzando completamente il mercato dell’energia. I risparmi realizzabili dai cittadini non richiederebbero più interventi governativi per diminuire il costo delle bollette.
Rileva Carlo Castagno su Il Foglio del 09.02.2022 (Liberalizzazioni da accelerare per governare il caro energia) che, mentre il Governo si affanna a trovare strumenti efficaci per proteggere gli italiani dal caro energia, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) attesta che, con le liberalizzazioni del mercato dell’energia: “Le opportunità di risparmio sono aumentate nel corso del 2021, sia in termini di numero di offerte disponibili che di importi risparmiati. In particolare, sono cresciute a partire dal luglio in poi, parallelamente con l’aumento dei prezzi all’ingrosso”.
Tutto ciò osservato, sono tuttavia ben note le opposizioni alle liberalizzazioni della classe politica (timore di perdere consensi) e delle categorie economiche interessate (timore della perdita di privilegi dei quali hanno sempre goduto negli anni).
In un quadro sicuramente poco roseo per la finanza pubblica, qualche modesta entrata può venire dai cosiddetti “conti dormienti”. Si tratta di depositi di denaro su libretti di risparmio (bancari o postali) con un saldo superiore a 100 euro e non più movimentati negli ultimi 10 anni. Nella categoria rientrano però anche conti correnti bancari e postali, azioni, obbligazioni, certificati di deposito e fondi d’investimento nonché assegni circolari non riscossi, strumenti che sono rimasti fermi da 10 anni. Tutti i valori di questi “conti dormienti” se li pappa lo Stato.
Il meccanismo fu inventato dall’allora Ministro dell’economia Giulio Tremonti. Introdusse una norma nella legge finanziaria del 2006 (L. 266/2005) per poter effettuare questo esproprio, possibile più di quanto si pensi (morte del proprietario di questi beni e l’erede ne ignora l’esistenza; proprietario che muore senza eredi e non avendo fatto testamento). Banche ed altri enti che operano in mercati finanziari che accertano l’esistenza, nei loro carteggi, di conti dormienti, versano i valori ad un apposito Fondo che provvederà al successivo trasferimento al bilancio dello Stato. I valori trasferiti al Fondo vi restano per altri 10 anni e gli eventuali interessati potranno chiederne, in tale periodo, la restituzione. Ma è altamente improbabile che chi ignorava l’esistenza del “conto dormiente” ne vada alla ricerca per ottenerne la restituzione. E così tutto finisce nel bilancio dello Stato.
L’operazione “conti dormienti” è stata attivata ora dalle Poste Italiane. L’Ente ― con un semplice avviso che, probabilmente, molti non leggeranno neppure, ma senza effettuare segnalazioni personali ― ha invitato a consultare, presso gli Uffici Postali, gli elenchi dei Libretti di Risparmio Postale “dormienti” alla data del 31 marzo 2022 per non aver registrato movimenti negli ultimi 10 anni. I titolari potranno segnalare questa situazione, presso qualsiasi Ufficio Postale, entro il 20 ottobre 2022. In assenza, Poste Italiane procederà all’estinzione del Libretto trasferendo il saldo al Fondo prima indicato. Procederà allo stesso modo entro il 21 giugno 2022 per i Libretti di Risparmio postale dormienti alla data del 30 novembre 2021.
L’esproprio dei “conti dormienti” da parte di banche ed altri enti porta, nelle casse dello Stato, alcuni miliardi. Nel bilancio dello Stato, ormai di oltre 1.100 miliardi, pochi miliardi potranno sembrare briciole. Ma si sa che, in tempi di carestia, tutto fa brodo.