Il 5 aprile Torino ha vissuto il suo momento di gloria. Lasciando perdere le paginone della stampa locale necessariamente dedicate alla solennizzazione del fatto, la Città ha avuto uno spazio di cinque minuti anche nella comunicazione delle reti televisive pubbliche nazionali, avvenimento del tutto eccezionale rispetto ad altre città solitamente citate anche per notizie modeste.
Motivo di questa attenzione. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi è venuto a Torino per sottoscrivere, con il Sindaco Stefano Lo Russo, il Patto per Torino. L’accordo porterà/dovrebbe portare nelle casse del Comune, in vent’anni, sovvenzioni da parte dello Stato per un miliardo e 120 milioni. Per il 2022, arriveranno 70 milioni.
Orbene, e nonostante le lodi indirizzate alla Città da Draghi nel suo intervento nella sala del Consiglio comunale, questi quattrini non vengono concessi per un improvviso atto di generosità del Governo nei confronti di Torino. Sono dati per evitare il fallimento della Città. Sul bilancio del Comune di Torino pesano, infatti, un buco di circa 900 milioni del 2020 e un debito complessivo di 4,2 miliardi.
Prendere ciò che arriva, poco o tanto che sia, per risanare un po’ queste situazioni è, certamente, una saggia decisione. Il Patto per Torino richiama tuttavia, immediatamente, i comportamenti dei passati amministratori della Città che hanno creato la situazione fallimentare del Comune. Il Patto per Torino infatti è una conseguenza di essa. Giunte vanagloriose, sebbene si vantassero di essere buone amministratrici, avevano come obiettivo principale quello di apparire. Facevano debiti a ruota libera sapendo che sarebbero stati altri a doverli pagare. Napoli ― altra città in stato fallimentare che, come Torino, ha firmato con il Governo analogo Patto ― insegna però che “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, scurdammoce ’o passato”. E così sarà ― ora e sempre ― per la finanza pubblica che va a rotoli senza però mettere mai alla gogna qualcuno come responsabile degli sfracelli.
Andando tuttavia un po’ più a fondo su questo Patto per Torino, lo troviamo contemplato in quello sproloquio (un solo articolo, ma con 1013 commi) che è la legge di bilancio dello Stato per il 2022 (L. 234/2021). In alcuni commi (dal 567 in poi), il Governo stanzia e disciplina 2 miliardi e 670 milioni di euro per dare una mano ai Comuni capoluogo di città metropolitana in stato fallimentare. Torino è, ahimè, tra questi, al secondo posto dopo Napoli. I 2 miliardi e 670 milioni sono però spalmati su vent’anni: 2022 - 2042. 150 milioni nel 2022, 290 milioni nel 2023-24, 240 milioni nel 2025, e poi 100 milioni dal 2026 fino al 2042.
È evidente che nessuno è in grado di prevedere oggi cosa potrà accadere nei vent’anni futuri. Si fa la bella figura di sparare queste cifre importanti, ma sulle quali non c’è alcuna garanzia di mantenimento nel tempo e, quindi, di totale erogazione ai destinatari. Il Patto per Torino garantirà qualche aiutino dello Stato per vent’anni, oppure i 70 milioni arrivano per il 2022 e poi si vedrà?. Non va, infatti, dimenticato che altri Governi che si succederanno nei prossimi vent’anni potrebbero tranquillamente cambiare le cifre messe nella legge di bilancio 2022, in base a nuove esigenze o a diverse visioni politiche. Anzi, non è stato infrequente che, in anni passati, qualcuno sia andato a rivendicare somme scritte in leggi precedenti, sentendosi dire dal Ministro in carica che non c’erano più nel bilancio.
Le erogazioni da parte dello Stato in base al Patto per Torino non avvengono però a costo zero. In poche parole, la legge dice: “Io Stato ti aiuto, ma tu Comune devi metterci del tuo. Firmerò con te un patto e ti darò qualche soldino, ma anche tu Comune dovrai darti da fare nel trovare risorse per tappare i buchi. Dovrai aumentare le tasse, aumentare le tue entrate stabilendo canoni maggiori per le concessioni e le locazioni, alienare beni del patrimonio, attivarti per ottenere contributi da enti pubblici e privati, rivedere in maniera più efficiente la riscossione delle tasse, diminuire le spese correnti, rivedere le partecipazioni societarie”, e via cantando.
Il Sindaco Lo Russo ha già fatto alcune di queste cose. Ha aumentato (chiedendo però scusa ai torinesi) l’Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e la Tassa sui rifiuti (Tari). Ha previsto un aumento delle entrate per multe e un maggior rigore nella loro riscossione. S’è impegnato a svolgere un’amministrazione rigorosa. Altri impegni si scopriranno attraverso i documenti di programmazione ed i bilanci.
Solo dopo aver preso atto di questi impegni, il Presidente del Consiglio Mario Draghi è venuto a Torino a firmare il Patto. Che però, diminuendo l’enfasi che gli viene data in questi giorni, luccica assai meno se si riflette sulle incertezze del suo mantenimento per tutti i vent’anni.
Anche gli eventuali quattrini che potrebbero arrivare con il Patto luccicano meno per i torinesi se pensano agli aumenti ― questi certi ― di tasse ed ai servizi pubblici che, per onorare il Patto, potrebbero subire diminuzioni. Non va dimenticato che la legge prevede che i contributi che lo Stato darà con il Patto non consentono libertà di spesa, ma “sono prioritariamente vincolati al ripiano della quota annuale del disavanzo” e questa quota “è vincolata prioritariamente al pagamento dei debiti commerciali”, quelli cioè che, se non pagati, determinano il fallimento del comune. E, d’altro canto, è solo questo lo scopo che ha indotto il Governo a stanziare i 2,67 miliardi.