Il 14 ottobre, l’Istat ha pubblicato i dati relativi all’economia sommersa relativi al 2018 (le norme europee la definiscono, tecnicamente, “economia non osservata”). Vale 211 miliardi e comprende i valori di:
attività non dichiarate o dichiarate in maniera volutamente errata (con evasione totale o parziale dell’IVA), fitti in nero e mance lasciate ad alberghi o ristoranti per la distribuzione al personale. Totale, 95.6 miliardi;
lavoro in nero (con evasione della contribuzione previdenziale e assistenziale): Totale, 78,5 miliardi;
produzione e commercio di stupefacenti, prostituzione e contrabbando (sigarette e alcoolici). Totale, 19,2 miliardi;
attività informali per le quali non si tiene contabilità (ad esempio, le vendite di prodotti agricoli fatte direttamente dall’agricoltore). Totale, 17,6 miliardi.
Le norme europee stabiliscono regole matematiche per determinare il valore di queste attività illegali. Il valore totale, sempre in base a queste norme, viene aggiunto all’ammontare del PIL (Prodotto Interno Lordo), cioè il valore totale di tutti i beni e servizi prodotti nello stesso anno nel Paese in maniera visibile, cioè legalmente. Per dare un’idea in base agli elementi accertati ad oggi, una proiezione fino al 2019 del PIL ci dice che quello “buono”, cioè legale, vale circa 1.580 miliardi ma che sale, aggiungendo l’economia sommersa, a 1.791 miliardi. Certamente, questo metodo di calcolare il PIL ― che vale però per tutti i Paesi europei ― può apparire discutibile. Si riconosce, ufficialmente, che esiste un’economia illegale. Che però fa comodo. Ed allora, con la massima disinvoltura, la facciamo diventare legale assommandola con quella prodotta osservando le leggi.
C’è poi un secondo aspetto. Come detto, l’Europa ha stabilito regole per determinare il valore dell’economia sommersa. In alcuni casi ― ad esempio, in materia di operazioni non fatturate o fatturate parzialmente o di lavoro nero ― ci si può avvicinare a stabilirne un valore. Per altre (prostituzione, contrabbando, ecc.), dire quanto valgono diventa molto difficile per la stessa natura delle attività. E’ evidente comunque che, per tutte, si tratta di stime. Questa riflessione porta a concludere che i macro-dati dell’economia ― quali il PIL ― indicano sempre degli ordini di grandezza, mai dei valori assoluti. Per essere chiari, non vanno presi per buoni fino in fondo, ma considerati approssimativi.
Dunque, questo è il quadro in vigore per quanto concerne l’economia sommersa. Può essere utile tenerne conto quando, in questi tempi di grandi difficoltà per l’economia a causa della pandemia, siamo quotidianamente martellati in tema di PIL da parte di chi governa. Lo si prevede ancora in calo per quest’anno, ma lo si indica in recupero a partire dal 2021, pur restando su valori ancora molto lontani da quelli di qualche anno fa. Visto come viene calcolato, sono palesemente narrazioni di ministri. Infatti costoro, anziché usare la “potenza di fuoco” che doveva consentire di superare tutte le avversità, e quindi determinare movimenti reali nel PIL, hanno preferito disperderla in interventi che poco o nulla incidono su esso. In definitiva, sulla ripresa economica. Spendendo risorse notevoli per biciclette, monopattini e simili o regalini vari a Tizio e a Caio, hanno riconfermato il credo del M5S della “decrescita felice”.
Ciò osservato, va tuttavia rilevato che, in tutti questi articolati discorsi sul PIL, non compare mai alcun accenno all’economia sommersa. Nascono allora alcune domande. Non è che per caso, considerando che viene ufficialmente computata nel PIL nonostante l’elevata incertezza della sua valorizzazione, questa valorizzazione venga costruita artificiosamente per aumentare il PIL? Questo torna utile poiché molti calcoli (sforamento del bilancio pubblico, ammontare del debito pubblico e via discorrendo) si basano su questo fattore.
C’è un’altra questione ancora più rilevante. Il Governo Conte continua a raccontare che sta diminuendo le tasse. Leggendo quanto scritto nel recente (10 ottobre 2020) e articolato studio della Fondazione Nazionale dei Commercialisti: “Analisi della pressione fiscale in Italia, in Europa e nel mondo - Struttura ed evoluzione dei principali indicatori di politica fiscale”, sembra che non sia così. Lo studio afferma anzi che la pressione fiscale sulle famiglie è aumentata dal 2018 al 2019 e la tassazione delle imprese, rispetto ad altri Paesi, continua ad essere tra le più elevate.
Orbene, collegando questa questione con l’argomento dell’economia sommersa, riportiamo quanto scritto nello studio di cui stiamo parlando: “Il quadro di sintesi degli indicatori mostra, infatti, come l’Italia occupi, generalmente, le prime posizioni in termini di incidenza del peso fiscale, mentre si colloca agli ultimi posti in termini di efficienza del sistema economico e, soprattutto, del sistema fiscale. In particolare, si evidenzia come la tassazione sia fortemente sbilanciata sul reddito da lavoro, mentre appare più debole sul consumo. Ciò, ovviamente, non dipende unicamente dalle aliquote, ma anche e, soprattutto, dall’entità dell’economia sommersa”.
Se la situazione è questa (ma l’autorevolezza dello studio non lascia dubbi), forse Conte e il suo Ministro dell’economia Gualtieri, anziché continuare le loro narrazioni, sarebbe bene che si soffermassero un po’ di più a riflettere sull’economia sommersa, cercando di combatterla con tutte le armi possibili. Se i 211 miliardi dell’economia sommersa pagassero ― anche solo in parte ― le tasse dovute, aumenterebbero le entrate del bilancio dello Stato e si potrebbe davvero ridurre il peso delle tasse su famiglie e imprese.