I Buoni fruttiferi postali sono emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, una Società per azioni posseduta per l’83% dallo Stato. E’ evidente che lo Stato, possedendo la maggioranza delle azioni, le fa fare ciò che vuole. La Cassa Depositi e Prestiti gestisce, storicamente, il risparmio postale, risparmio che risulta, in primo luogo, da quei libretti postali sui quali molti titolari di pensione la depositano. Il risparmio postale costituisce quindi un fiume di denaro che entra, costantemente, nei conti della Cassa Depositi e Prestiti. Cioè, in definitiva, nelle disponibilità dello Stato che la possiede.
Per raccogliere denaro, Cassa Depositi e Prestiti emette ―come appena detto ― anche i Buoni fruttiferi postali, che vengono venduti attraverso Poste Italiane. E infatti, nel sito web di Poste Italiane, brilla l’offerta dei Buoni fruttiferi postali: “Emessi dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. e garantiti dallo Stato Italiano. Non hai nessun costo per la sottoscrizione e il rimborso, salvo gli oneri fiscali. Puoi richiedere in qualsiasi momento il rimborso del capitale investito. Hai il vantaggio di una tassazione agevolata del 12,50%”.
Indiscutibilmente, l’invito è allettante. E lo Stato può sempre sostenere ― come dice la Costituzione ― che “incoraggia il risparmio” (si stima che, a fine 2019, il totale delle somme entrate nei conti della Cassa Depositi e Presti per acquisti di Buoni postali ammonti a 250 miliardi di euro. Tutti questi miliardi fanno molto comodo allo Stato tenendo conto che il suo debito diretto è ormai arrivato a 2.600 miliardi). Però, negli investimenti in Buoni fruttiferi postali, è la “tutela del risparmio” che fa cilecca.
Intanto, parlando di Buoni fruttiferi postali bisogna distinguere il periodo che arriva fino al 1999 e quello successivo. Per i Buoni emessi fino al 1999, valeva la regola del Codice postale (che ora non esiste più) per cui lo Stato, con un decreto ministeriale e all’insaputa del risparmiatore poteva cambiare, anche in diminuzione, il tasso d’interesse (bella “tutela” voluta dalla Costituzione!). Cosicché il risparmiatore, che pensava di aver collocato bene il suo gruzzolo (a quel tempo, i tassi d’interesse erano a due cifre), poteva trovarsi ad incassare meno di quanto si aspettasse. La regola del cambiamento degli interessi in corsa è stata oggetto, per i possessori di Buoni postali emessi anteriormente al 1999, di molte cause contro Poste Italiane. Su queste controversie la Corte di Cassazione, con una sentenza del 2019, ha messo una pietra tombale: per i Buoni postali emessi fino al 1999, vale sempre la vecchia regola del decreto ministeriale che può modificare anche in ribasso i tassi d’interesse. Il risparmiatore può comunque chiedere il rimborso, incassando quanto gli spetta secondo il tasso originario più vantaggioso.
Per le emissioni di Buoni fruttiferi postali a partire dal 2000, non è più possibile modificare i tassi d’intesse durante la vita del titolo. Però il loro rendimento è ormai prossimo allo zero. Dal sito web di Poste Italiane veniamo a conoscenza di questi elementi. C’è il Buono 3x2 che dura sei anni, ma gli interessi che maturano si riceveranno soltanto al termine del terzo anno. Il rendimento annuo lordo dopo 3 anni sarà dello 0,10% e dopo 6 anni dello 0,30%. Conservando il Buono fino alla scadenza dei sei anni, per 1.000 euro investiti si incasseranno 1.015,87 euro netti. C’è poi il Buono 3x4 per investimenti fino a 12 anni. Anche per questo, il riconoscimento degli interessi maturati avverrà soltanto a partire dal terzo anno. Il rendimento annuo lordo alla fine del terzo anno sarà dello 0,10%, al termine del sesto anno dello 0,20%, alla fine del nono anno dello 0,50% ed infine, al termine del dodicesimo anno, dell’1%. Per i 1.000 euro investiti il risparmiatore incasserà, dopo 12 anni, 1.110,98 euro netti. Per investimenti più lunghi, c’è il Buono ordinario ventennale, emesso il 17 luglio 2020. Qui gli interessi sono riconosciuti dopo un anno dalla sottoscrizione e arriveranno fino allo 0,60% lordo alla scadenza dei 20 anni. Investendo 1.000 euro nel 2020 in questo Buono postale, nel 2040 saranno rimborsati 1.111,13 euro netti.
Ora, tenendo presente che i tassi d’interesse dei Buoni fruttiferi postali sono stabiliti dalla Cassa Depositi e Prestiti ma sono approvati dal Ministero dell’economia, non sfugge come la finanza pubblica, anche attraverso la vendita di questi buoni, riceva in prestito notevoli somme di denaro ― con le quali può permettersi tutti gli investimenti miliardari che vuole (mettere quattrini in Alitalia, Autostrade, Ilva, Telecom; finanziare grandi operazioni immobiliari e via cantando) ― quasi senza costi, pagando cioè interessi ridicoli (sicuramente ben più convenienti di quelli che si pagheranno per il Recovery fund, il Fondo europeo salva stati, ecc.). Il risparmiatore ha la tranquillità del rimborso della somma investita, ma deve tenere conto che gli interessi che riceverà sicuramente non lo arricchiranno. Soprattutto deve però chiedersi quale potere di acquisto avranno i pochi euro riscossi per il capitale investito in Buoni fruttiferi postali dopo 6, 12 e 20 anni. Tenendo conto di tutti gli aspetti, l’acquisto di Buoni fruttiferi postali non sembra proprio un affare per il risparmiatore.